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Sogni ad occhi aperti #1

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Non dormo molto bene la notte, anzi, a volte mi capita perfino di rimanere sveglio per ventiquattro ore di fila; per ovviare a questo problema quindi, ho incominciato a sognare durante le ore diurne.
E proprio in uno di questi miei viaggi onirici che diedi sfogo a tutta la mia pazzia: mi trovai, non chiedetemi il come ed il perché, in un campo di battaglia e intorno a me tanti cavalieri se ne davano di santa ragione a colpi di picca o di spada.
La mia meraviglia crebbe ancora di più nel vedere che pure io indossavo una corazza che mi proteggeva dai piedi fino alla punta dei capelli, e indovinate un po’ cosa stringevano le mie mani?
Massì è facile, uno scudo nella sinistra e una spada nella destra.
Non sono mai stato molto avvezzo ai conflitti, immaginate quindi quanto fossi spaesato in quel momento, inoltre quell’armatura pesava incredibilmente, ma liberarsene era fuori discussione.
Infatti un manipolo di soldati mi accerchiò con il tentativo di farmi la pelle, e io non volendo recar loro danno mi limitai a parare i loro colpi, che s’infrangevano sullo scudo o nel peggiore dei casi sulla mia armatura.
Non sempre però, tali difese riuscivano a coprirmi, infatti alcuni, armati di stiletto, penetrarono con le loro lame quella ferraglia, fino ad arrivare nella carne, provocandomi così un dolore lancinante e insopportabile.
Due o tre volte, accecato dalla rabbia e dalla frustrazione, strinsi forte quell’arma tanto disdegnata e menai qualche fendente alla cieca.
Ne colpii qualcuno, e mi meravigliai nel vedere una smorfia di sofferenza apparire e scomparire come un lampo su quei volti coperti dalla visiera di quegli elmi freddi e senza vita.
<<Perché continuate ad offendere?>> chiesi <<Perché vi impegnate così tanto a recare dolore, quando proprio in questo momento l’ avete provato sulla vostra stessa pelle?>>.
Parole vuote che non sortirono alcun effetto, intanto l’armatura che indossavo mi opprimeva come un macigno e fu allora che mi sentii un codardo, non tanto perché mi rifiutavo di contrattaccare, bensì perché non avevo la forza di spogliarmi di quella corazza, che pur proteggendomi, mi privava della mia libertà, di me stesso.
E fu in quel momento, che mi svegliai…

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Edmond L. Isgrò